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Il ritorno dei Dauni

Un sogno inseguito per due secoli dalla stessa famiglia è ora diventato realtà. È questa la grande soddisfazione dei fratelli Sansone che dopo tre generazioni possono vedere la conclusione di un itinerario su cui hanno lavorato da decenni. Tra pochi mesi, c’è chi dice entro la primavera del prossimo anno, Mattinata avrà un suo museo tutto dedicato ai reperti dei Dauni, l’antica civiltà italica che colonizzò i territori del Gargano e dell’attuale Capitanata fra 3000 e 2500 anni fa.

Nella cittadina garganica i primi a fare il conto alla rovescia sono gli eredi Sansone, ovvero Matteo, Antonio e Carlo, che lavorano nella stessa farmacia-museo fondata dal nonno Matteo nel 1939, proveniente da Monte Sant’Angelo: e infatti una foto d’epoca accoglie dietro il bancone con uguale attenzione visitatori e clienti.

Un esempio unico in Italia e in Europa, con la vendita di antibiotici a fianco dei reperti archeologici. «Lo sappiamo bene di essere senza rivali – ammette sorridendo Matteo – Oggi anche mio nonno, di cui porto il nome, sarebbe felice di veder realizzato un sogno.

Così come lo è mio padre Giuseppe. Vasi e lapidi sono patrimonio nazionale, non più una collezione privata. E infatti ogni pezzo è stato censito ed è a disposizione della Sovrintendenza che dovrà allestire il museo. Quello almeno è pronto, perché la costruzione della sede è stata completata più di quarant’anni fa. Abbiamo donato l’intera collezione allo Stato, sarà a disposizione del pubblico, per il nostro territorio e per i visitatori che arrivano da ogni dove».

Ma sino a quando non arriverà il trasloco dei 2695 reperti, compresi quelli etnografici di pochi secoli fa, è l’accoglienza in farmacia che lascia senza fiato: una lastra sepolcrale bene incisa campeggia davanti all’entrata. Le migliaia d’anni passati tra la cerimonia funebre di quel Dauno di cui conosciamo così poco e la realtà di oggi sono davanti a noi, grazie anche alla passione di chi, per tutta la vita, ha lavorato per tirare fuori dal buio dei secoli una civiltà scomparsa. Un’avventura dello spirito, un caso unico nella storia dell’archeologia, quella di Matteo Sansone, che a trent’anni esatti dalla sua scomparsa può vantare risultati senza pari. Non solo i Dauni sono tornati tra noi, ma sono sempre più studiati.

Da Erodoto a Tucidide sino a Plinio il Vecchio i territori da loro abitati vengono battezzati con il nome di un leggendario re greco, Dauno per l’appunto, ma i sei, sette secoli in cui la loro civiltà si è affermata sono rimasti sepolti per millenni. Ufficialmente spariti e fusi con i nuovi abitatori, con la colonizzazione greca prima, e con quella romana dopo, i Dauni sono riapparsi grazie a campagne di scavo sollecitate proprio da Matteo Sansone. Lui, scomparso nel 1992, preparatissimo studioso oltre che valente esperto di farmaci, informava dei ritrovamenti effettuati la Sovrintendenza ed era in stretta corrispondenza con gli archeologi che puntavano sul Gargano per fare scoperte fenomenali.

Certo, a differenza degli Etruschi, dei Sumeri e della scomparsa civiltà di Troia per gli antichi abitatori della Puglia non sono nati romanzi e film. Però l’ottava civiltà che colonizzò il Sud Italia prima dei Romani è resuscitata quando tutti la davano per persa. Vero che il museo nazionale di Manfredonia ospita pure una esposizione di stele daunie, ma è altrettanto vero che se non ci fosse stato Matteo Sansone non avremmo tra pochi mesi un museo nazionale a Mattinata.

Perchè dunque si parla di una tradizione che risale all’800? Perché, per i ricorsi della storia, il prozio arciprete Giuseppe Antonio Azzarone accompagnò il capitano dell’esercito Angelo Angelucci nel 1861, quando quest’ultimo percorreva il Gargano alla ricerca delle armi in pietra degli antichi abitatori del Promontorio. Una passione rimasta nei geni della famiglia, compreso il prozio Biagio e che poi è continuata con gli eredi, i Sansone per l’appunto.

Angelucci allestì con le selci il primo nucleo di quello che oggi è il Museo dell’Artiglieria a Torino, mentre Matteo Sansone settant’anni più tardi, costruì il ponte tra la preistoria e l’archeologia classica con i manufatti dei Dauni, grazie anche al lavoro di università italiane e straniere. Dunque le pietre e gli oggetti della civiltà scomparsa diventeranno solo un’attrattiva turistica per l’estate o diventeranno memoria pulsante, viva e vitale delle nostre terre? La scommessa è tutta da giocare.