Manfredi, Lucera e … la “scampata” Crociata inglese
Quando si pensa alle crociate, Gerusalemme è la prima città che balza alla mente. La riconquista dei luoghi sacri alla cristianità fu sin dall’XI secolo il fulcro di questo fenomeno piuttosto singolare che segnò tutto il periodo medievale. Il “pellegrinaggio armato”, con il passar del tempo, divenne non solo il mezzo per poter permettere ai pellegrini di visitare la Terra Santa, ma si trasformò in un vero e proprio strumento nelle mani del papato contro i nemici interni ed esterni. È il caso, ad esempio, della Crociata albigese (1209-1229) tenutasi nel sud della Francia contro gli eretici Catari o la cosiddetta Ottava Crociata (1270) che vide l’esercito guidato da Luigi IX di Francia approdare in Tunisia contro i domini musulmani in Africa Settentrionale. Uno strumento quindi pronto ad essere scagliato a seconda delle esigenze politiche del momento. Anche gli imperatori potevano essere oggetto di crociata. Federico II di Svevia ne fu obiettivo nel 1229 venendo colpito nel cuore del Regno di Sicilia – che a quel tempo comprendeva tutto il Mezzogiorno d’Italia –, paradossalmente proprio mentre lo Svevo si trovava a Gerusalemme durante i negoziati di pace per rilasciare la città ai cristiani in cambio di un trattato di non belligeranza pluriennale. Ma cosa c’entra Lucera con una crociata e con gli inglesi? Andiamo con ordine. Tutti sanno che dal 1223 in poi Lucera fu popolata da un folto numero di musulmani, i quali avevano libertà di culto, erano provetti agricoltori e artigiani, si dilettavano nella costruzione di archi e balestre che usavano in battaglia al servizio dei sovrani svevi (e successivamente angioini). Nonostante un’enclave islamica fosse relativamente vicina al Vaticano, fino al 1254 i pontefici non ebbero mai a lamentarsi in maniera sostenuta con Federico II o con i suoi successori. La scintilla che fece scattare l’ira di Innocenzo IV avvenne nel novembre di quell’anno quando i seguaci di Manfredi, figlio di Federico II, uccisero Borello d’Anglona, un fedelissimo del Papa, mentre il “biondo, bello e di gentil aspetto” si rifugiava proprio a Lucera sfuggendo alle truppe pontificie dopo una rocambolesca fuga. Riuscendo a raggiungere la Luceria Saracenorum, Manfredi mise mano al tesoro del Regno, il che gli permise di raccogliere attorno a sé i suoi fedeli e di organizzare la controffensiva. Innocenzo non fece in tempo ad ufficializzare dei provvedimenti contro lo Svevo – morì poco dopo – ma il suo successore, Alessandro IV, non esitò un attimo a bandire, con la bolla Pia matris, una crociata contro Manfredi, citando esplicitamente la città di Lucera, covo di infedeli, accusata di essersi ribellata e di aver stretto alleanza con il rivale della Chiesa. L’attacco di Alessandro IV si rivelò un disastro. Nel maggio 1255 il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini fu sconfitto in Capitanata e costretto a ritirarsi mentre Manfredi consolidava il suo potere concentrando su di sé un grande consenso. Ed è proprio in questo frangente che il pontefice si rivolse alla corte del re d’Inghilterra Enrico III, tentando di convincere il sovrano ad intervenire in suo favore. Lo scopo era di rinvigorire la forza della crociata contro Manfredi e i saraceni di Lucera. In cambio della spedizione Alessandro promise la corona del Regno di Sicilia ad Edmondo, figlio di Enrico, che da quel momento si fece chiamare Rex Siciliae senza mai davvero averne potuto esercitare il titolo. Gli inglesi erano però diffidenti e dubitavano dei benefici spirituali dell’offerta, specialmente perché l’attacco sarebbe stato condotto contro altri cristiani. Il coinvolgimento della città di Lucera, d’altro canto, fece inizialmente breccia nel sentimento di conquista inglese e sembrò una degna giustificazione per accettare la crociata. Le trattative si prolungarono fino al 1258 quando Enrico III, riunito in parlamento a Londra con i baroni del Regno, scrisse al Papa e, nonostante affermasse che la crociata potesse essere giustificata dalla presenza di infedeli nella città di Lucera, declinò gentilmente l’offerta. I motivi erano tra i più svariati: la spesa eccessiva dell’impresa, la scarsa coesione interna dei baroni del Regno inglese e i rapporti fino ad allora cordiali con la casata di Svevia (Il Re di Inghilterra era stato ospite del padre di Manfredi, Federico II, durante il suo viaggio in Terra Santa nel 1241). Inoltre, la situazione interna vedeva un regnante sempre più debole alla mercé dei grandi conti e baroni il che non avrebbe permesso di portare a termine la conquista. Gli stessi baroni si lamentarono della grande distanza da percorrere e non nascosero nemmeno le loro antipatie per i “pugliesi”, visti come traditori, i quali secondo loro non si facevano scrupoli ad avvelenare amici e parenti per raggiungere i loro scopi. Fu così che gli inglesi non intrapresero nessuna azione contro il Regno di Sicilia utilizzando come scusa gli abitanti musulmani di Lucera. Non passò tuttavia molto tempo che un altro pontefice, Urbano IV, volse lo sguardo ad un ulteriore grande Regno europeo, la Francia. Grazie, infatti, al consenso del Re Luigi IX, detto il Santo, Carlo d’Angiò fratello del re, organizzò la spedizione che vide il suo epilogo nel febbraio del 1266 a Benevento con la sconfitta di Manfredi. Lucera non ne uscì indenne. Gravata di onerosi tributi, si ribellò due anni sulla scia del tentativo di riconquista del Regno da parte di Corradino di Svevia. L’occasione fu propizia per organizzare una Crociata vera e propria contro la città. Il pontefice aizzò alcuni cardinali che predicarono sermoni carichi di retorica e scenari apocalittici mentre Carlo d’Angiò si occupò di assediare Lucera per oltre un anno, chiamando a raccolta truppe da tutto il Regno. I saraceni furono costretti alla resa per fame ma, a dispetto di ciò che poteva attendersi il Papa, Carlo fu clemente e si sbarazzò solo dei capi della rivolta attirandosi contro persino le antipatie di alcuni poeti del nord, i quali cantavano “Né un Greco né un Latino possono trovare tregua o pace con lui, ma i cani pagani di Luchera l’hanno avuta esattamente a loro gradimento, e possono felicemente gridare «Maometto!» con tutta la loro voce dal momento che ora non c’è più alcun monastero di Dio o di Santa Maria laggiù, poiché il papa, che ha messo la fede di Dio in grande pericolo, non lo permetterebbe, e questo mi sconcerta”.