Anno 2 N°5Interventi & Contributi

anima del Comitato per lo studio delle tradizioni popolari di Capitanata

18 ottobre 1940. Il Ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai, accompagnato da Riccardo del Giudice, dal Prefetto di Foggia, dal consigliere nazionale Giuseppe Caradonna, dal Federale, dal Podestà, dal Soprintendente ai monumenti e da altre autorità e gerarchie, visita il Museo delle Tradizioni Popolari di Capitanata, istituito a Foggia sin dal 28 ottobre 1930. Bottai ammira alcuni prodotti dell’artigianato locale qui esposti.
Fu ricevuto dalla direttrice Ester Loiodice (1893-1985), che illustrò le finalità della “caratteristica Istituzione”. Studiosa di etnografia della Capitanata e di storia locale, la Loiodice era autrice di diversi saggi sulle tradizioni popolari e sul dialetto foggiano. Fu proprio grazie alla sua costanza che il Museo delle Tradizioni Popolari di Capitanata era stato istituito, e la Capitanata fu una delle province più attive nella ricerca demologica.
Durante l’ultimo conflitto bellico, che nell’estate del 1943 provocò la quasi totale distruzione del capoluogo dauno, la Loiodice ebbe il merito di mettere in salvo gli ori e gli argenti del patrimonio artistico del Museo Civico. Una magnifica raccolta di monili che la studiosa aveva contribuito a raccogliere, e che aveva entusiasticamente descritto in un saggio pubblicato nella monografia della rivista “Ospitalità Italiana” (6-21 settembre 1933-XI) dedicata alla promozione turistica della Capitanata: “Sui fiammanti palchetti di velluto passano superbi gli anelli a rococò, con testa e con spoletta riproducenti santi ed altre immagini, a rotelline o a cuore; i molti gingilli contro la jettatura; le ricche collane a fascia, ad anelli, a una o a più file, alla pompeiana o a palline; a specchi od a senacoli; a palline ricce, a fave o a barilotti o anche a catena, con medaglioni in filigrana o in miniature; pettini, spadini, spilloni, o tremolanti artistici per capelli; orecchini di tutte le fogge o grandezza, alla pompeiana o a pendagli, a fiocchi, a campane o a rosette, il più delle volte tanto pesanti da ritenersi impossibili per un povero orecchio umano; ricordi e cimeli di feste popolari, tra cui la corona e lo scettro di una formosa e classica Regina del Grano; rosari e ninnoli per grandi e piccini…”. A questa preziosa sezione di oreficeria, dedicate alla religiosità popolare, all’etnografia, alla letteratura popolare, pittura, fotografia, arte pura ed applicata, manufatti, ricostruzioni, attrezzi, utensili, misure, ornamenti, e armi, oltre all’archivio musicale, alla discoteca, e alla biblioteca.
Ester Loiodice indubbiamente svolse un ruolo di primo piano nell’adesione della Puglia e della Capitanata al Comitato Nazionale per le Tradizioni popolari. In una comunicazione, tenuta nel settembre 1934 al 3° Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari (Trento) e pubblicata a Roma nel 1936 dalle Edizioni dell’OND, aveva presentato “La scheda-tipo del Museo delle tradizioni popolari di Capitanata”. Il Museo, a giudizio dei competenti, era una delle prime Istituzioni di quel genere sorte in Italia (la Loiodice cita, senza fare il nome, un ex Ministro della Pubblica Istruzione che aveva affermato:
“Anche Roma può invidiarlo!”).
Da anni le manifestazioni spirituali, i costumi, le norme di vita del popolo, i documenti storici ed etnografici avevano appassionato gli studiosi italiani e stranieri. Gli studi effettuati, però, erano rimasti tentativi isolati, non si erano inquadrati nel pensiero letterario nazionale né avevano marcato l’identità popolare italiana. Ad avviare lo studio scientifico del Folklore italiano fu il medico palermitano Giuseppe Pitrè (1841- 1916) che, dopo aver dato alle stampe la «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», la «Bibliografia delle tradizioni popolari italiane » nel 1894 e la «Rivista Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», dal 1882 al 1909, ottenne nel 1911 a Palermo la prima cattedra universitaria italiana di demopsicologia.
A Firenze nel 1928 era nato il Comitato Nazionale per le Tradizioni popolari, con l’intento di svolgere una larga azione culturale, dando un’organizzazione sistematica alle forze nazionali per un proficuo sviluppo degli studi di folklore in genere, e delle singole regioni, agevolando la raccolta di materiale documentario con unità di criteri e di metodi  scientifici. Sempre a Firenze, nel maggio del 1929, il re Vittorio Emanuele III aveva inaugurato il primo Congresso Nazionale organizzato dal Comitato, nel quale furono discussi problemi metodologici di notevole importanza.
Successivamente il Comitato era stato inglobato nel Centro di Alti Studi dell’Ente fascista di Cultura, sotto la presidenza di Carlo del Croix, per svolgere “una larga azione a beneficio della cultura italiana”, come annunciò “La Gazzetta
del Mezzogiorno” nell’articolo “Lo studio delle tradizioni popolari”. Il Comitato procedette all’organizzazione sistematica di tutte le forze nazionali: voleva raccogliere “in una sola famiglia” tutti gli studiosi italiani, affinché l’opera dei singoli venisse, per quanto possibile, facilitata e concorresse, in uno sviluppo armonico di attività, a un maggiore progresso degli studi delle Tradizioni Popolari in Italia.
Il Comitato nominò dei commissari regionali e fiduciari provinciali, per mantenere vivo il contatto con i numerosi studiosi di folklore sparsi “nei più remoti angoli d’Italia”.
L’iniziativa ebbe successo, perché quasi tutti gli studiosi di demoantropologia e di dialettologia dettero “un’entusiastica adesione”. La Puglia, che vantava un prezioso patrimonio di tradizioni popolari, non rimase estranea a questa rinascita di studi, e accolse con entusiasmo l’invito di Saverio La Sorsa a costituire un Comitato Regionale. Nella sede del Museo Storico di Bari convennero poeti dialettali, critici d’arte, folkloristi e studiosi di demopsicologia di varie parti della Puglia. Fra i fiduciari, sparsi nei centri pugliesi più ricchi di tradizioni popolari, troviamo Ester Loiodice e Alberto Perrone per Foggia, Luigi Schingo per San Severo, Tommaso Fiore per Altamura; Nicola Zingarelli per Cerignola, Consalvo di Taranto per Deliceto; Michele Vocino per San Nicandro Garganico; Michelantonio Fini e Alfredo Petrucci per Rodi Garganico.
Il Comitato intendeva svolgere un’attiva opera di propaganda per formare una coscienza folkloristica pugliese, invitando gli studiosi e gli enti ad associarsi alla nobile istituzione, e a diffondere l’amore per lo studio delle tradizioni popolari. Oltre agli studiosi privati potevano aderire anche le associazioni culturali, gli Istituti, i circoli locali, le Scuole, le Biblioteche, i Musei, le Banche e i Consorzi Agrari.
Si raccomandò ai Direttori delle Biblioteche di Puglia di raccogliere, in speciali sezioni, tutti gli studi di folklore scritti da corregionali o da altri studiosi.
Per far “appassionare” il pubblico al folklore, furono incentivate mostre etnografiche, audizioni di canti popolari, oltre alla raccolta “del materiale più caratteristico della Puglia”. Il senatore De Tullio, presidente della Fiera del Levante, promise il suo autorevole appoggio per la riuscita di un grande concerto di musica popolare. Avrebbe anche preso accordi con il direttore della Fiera per preparare una Mostra del Costume pugliese. Si stabilì di invitare le diverse sezioni del Dopolavoro e l’Ente di Cultura pugliese a cooperare per attuare il vasto programma del Comitato Regionale. Si auspicò che i singoli fiduciari svolgessero “una benefica attività” per il successo dell’iniziativa, e che, con l’aiuto dei Podestà, dei gerarchi, delle Scuole e degli studiosi, mettessero in luce il prezioso patrimonio folkloristico della Puglia.
Secondo lo storico Stefano Cavazza, durante il fascismo questo tipo di studi fu utilizzato dalla propaganda di regime per rafforzare il mito romantico del Popolo legato alla propria terra e alla tradizione, cercando di unificare le tradizioni locali tramite l’Istituto del Dopolavoro. Gli studiosi di folklore italiano cercarono il sostegno delle istituzioni culturali fasciste per ottenere il riconoscimento del proprio ruolo intellettuale. Un tentativo che rivelò le affinità culturali
con la cultura fascista, della maggior parte degli studiosi che aveva idee populiste, nazionaliste e tradizionaliste. Nel 1932 il Comitato Nazionale delle Arti Popolari divenne, a tutti gli effetti, un organo fascista per l’organizzazione del tempo libero (OND Opera Nazionale Dopolavoro) e gli studiosi assunsero il ruolo di esperti nella  Si giunse a sottolineare il valore unitario e nazionale delle tradizioni popolari a scapito del regionalismo