Lucio Perrugini. Dell’architetto che volle diventare pilota… o viceversa!
Lucio Peruggini, 52 anni, foggiano, sportivo di successo è noto tra gli appassionati di motori per i tanti titoli vinti nelle cronoscalate e nei rallies storici, ma al centro della sua vita c’è anche l’architettura, professione e retaggio familiare coltivata con competenza e passione

È un grande campione di automobilismo: vanta 5 vittorie ai Campionati italiani velocità montagna e tre successi nelle finali Master Fie, è pilota ufficiale Ferrari, con una breve esperienza anche in Lamborghini e sta dominando anche la stagione in corso con la sua Ferrari 488 Challenge Evo.
Una bella famiglia con Maria Rosaria e loro figlio Teodoro, che condividono la passione per l’automobilismo e – quando possono – lo seguono in tutti gli spostamenti del circuito. Ma tra una gara e l’altra, emerge prepotente l’amore di Lucio per la professione d’architetto che gli regala non poche soddisfazioni.
Quando è nata questa vocazione?
Nonno Savino è stato un bravo imprenditore: costruiva palazzi arditi nella Foggia degli anni ’50. Lo è stato papà Teodoro, anche in altre città, negli ultimi anni ’70, e quindi nel DNA, oltre alla passione per l’automobilismo trasmessa da mio padre, c’è l’architettura. Un sentimento cresciuto in quelle estati, da piccolo, in cui passavo un po’ di tempo sui cantieri con papà e mi divertivo ad aiutare gli operai a mettere mattonelle o a dare martellate a un muro da demolire. È nato, così, quasi un dovere morale a continuare tante belle opere fatte dai miei.
Qual è stato il tuo percorso formativo?
Fino a 18 anni ho frequentato il Liceo Classico “Lanza” a Foggia. Nell’86 mi sono iscritto alla facoltà di Architettura dell’Università di Pescara. Appena laureato, sono diventato assistente e ho lavorato per due anni nello studio di uno dei più bravi professori architetti della facoltà, Lucio Zazzara, grande urbanista che ha stilato i piani regolatori di tante città italiane ed estere: un’esperienza bellissima.

Il lavoro?
Dopo una serie di master sulle manutenzioni e restauri degli edifici, ho cominciato a lavorare nella Manutencoop, un’importante azienda di Bologna che gestisce la manutenzione del 70% delle grandi città italiane, e mi è stata affidata quella del Comune di Pisa. Nel 2008, ho avuto la possibilità di fare dei lavori a Foggia. Ma, purtroppo, nella mia città, ho trovato possibilità molto limitate di sviluppo per la mia professione: a Foggia gli architetti sono sottovalutati. Una città che vive ancora di bisogni primari – vestire, mangiare, magari anche divertirsi al sabato – ma siamo troppo indietro sulla cura di altri aspetti del vivere quotidiano: lo dico con rammarico, da foggiano, ed avendo avuto conoscenza diretta degli stili di vita di tante città d’Italia e del mondo. Qui ho avuto poco spazio, anche se ho potuto curare il restauro interno di belle case: ma a Foggia non ce ne sono molte. Avendo lavorato molto in Toscana – a Montecatini, soprattutto – con i restauri e la messa a norma di alberghi, ho acquisito tanta familiarità con l’antico, quindi mi piace soprattutto lavorare su costruzioni che hanno almeno 200-300 anni.
Urbanisticamente Foggia nasce nel ‘500 e non ha tanti edifici di pregio.
Ne abbiamo molti di discreto livello, ma non sono valorizzati. Purtroppo la cultura del restauro non appartiene alla nostra città. Si nota anche dalle scelte di politica urbanistica del Comune: ha deciso di espandere le periferie, piuttosto che recuperare il centro storico, abbandonato a sé senza gli opportuni piani di recupero promossi da adeguati incentivi. Una città che cresce producendo migliaia di nuovi alloggi di qualità mediocre senza offrire gli adeguati servizi. Pensiamo anche al Villaggio Artigiani dove è stata autorizzata la costruzione di case abitabili!
E dove, in una via con capannoni di 500 mq, la sede stradale è larga 6 m e impedisce ai Tir di accedere! Manca la cultura della funzionalità, oltre che quella del bello!
Quali sono gli interventi che hai realizzato a Foggia e di cui vai fiero?
Ho ristrutturato in centro una casa di 300 mq dell’800. Era in rovina e il proprietario voleva svenderla, ma lo convinsi a recuperarla con gli stessi materiali locali usati in origine. Ha bei dipinti sui soffitti, preservati grazie all’opera di esperti.
Ora è moderna nella funzionalità, ma i dettagli sono curati con il rispetto rigoroso della sua storia.
E fuori città?
A Montecatini Terme, il recupero del Grand Hotel Plaza, un albergo che ebbe origine nel ’700, diede impulso allo sviluppo della città e per 27 anni fu dimora di Giuseppe Verdi. Un bel lavoro su un edificio vincolato che si estende su 4mila mq, anche qui con immenso rispetto per le caratteristiche storiche senza trascurare i confort più attuali.
I particolari…
È fondamentale la cura per i dettagli infinitesimi, che magari sfuggono agli occhi di tanti. Mi dedico alla ricerca e all’approfondimento nel mio campo, partecipando a fiere all’estero, imparando da quel che vedo e leggendo tanto.
Una cura che adotti anche nello sport?
Sì, è fondamentale: una mia caratteristica, che consente di guadagnare i piccoli vantaggi che nelle prestazioni giocate su frazioni di secondo diventano decisivi.
Cosa porti, invece, di “sportivo” nella professione?
La grinta e la voglia di iniziare un percorso e finirlo vincendo.
Cosa ti rende felice, in definitiva, come architetto?
Ho davanti agli occhi l’immagine di papà che passava davanti ad un bel palazzo e poteva dire “Questo l’ho realizzato io”! È l’idea che continua a guidarmi: poter lasciare case attuali, vive, belle e funzionali, che rendano felici chi le abita.